dicono di me, fumetti

Viaggi e vita: le meravigliose capriole di Marina Girardi – un’intervista per LoSpazioBianco.it

Capriole_titolo interno

Capriole, Nomadisegni, Magirainbici: un bel dì di novembre Nicole Brena mi ha invitato a fare una chiacchierata. E grazie a lei si sono intrecciati i fili dei miei lavori. Ecco l’intervista che mi ha fatto per LoSpazioBianco.it :

In quest’intervista Marina Girardi racconta in modo intenso e profondo il suo rapporto con il disegno e la vita stessa, mentre affiorano le sensazioni e le visioni che muovono il suo essere umano e artistico. Durante BilBOlBul 2015 l’autrice ha presentato Capriole presso la libreria Trame e ha tenuto un laboratorio di “capitomboli e mappe a fumetti” per bambini.

Capriole si apre con un disegno che completa la fotografia: mi sembra esplicativo dell’opera in sé, una sorta di completamento della tua vita attraverso il disegno o un desiderio di rivederla, vista la presenza di didascalie che contengono commenti formulati a posteriori. Qual era la tua intenzione nel voler scrivere e disegnare questo fumetto autobiografico? In generale ho sempre tenuto un diario, il che era già un’estensione del mio corpo. Viaggiando molto fin da bambina ho sempre tenuto diari in cui univo le foto ai disegni e ai testi, scrivevo delle storie, mi inventavo dei giochi, mi facevo i miei quaderni, i miei giornali, le mie riviste da sola. I viaggi che facevo fin da bambina erano abbastanza solitari: non avevo il mio gruppo di amici, ero con il mio nucleo famigliare, eravamo noi quattro, e passavo molto tempo da sola con i miei pensieri durante le tante ore di viaggio, le lunghe percorrenze, i tanti chilometri. Avevo bisogno di una controparte a cui esprimere le mie impressioni, e il diario era un modo sia per fissare impressioni forti che mi derivavano dai viaggi che per raccontare, perché comunque queste visioni davano voglia di raccontare. La pratica del racconto attraverso le immagini e le parole c’è sempre stata, e forse questa immagine iniziale rappresenta bene questo mio prolungamento.

Per quanto riguardo riguarda il tuo stile, non usi una struttura fissa, non hai mai schemi particolari, e questo dà l’idea di un sentirsi molto a proprio agio con il mezzo di comunicazione: ad esempio vari le proporzioni e ci sono spesso doppie pagine. Come riesci ad articolare i contenuti? Hai provato a disegnare dentro vignette più statiche? Come ti muovi fra fumetto e illustrazione? Mi muovo fra fumetto e illustrazione perché è una pratica di diario, e fino ad ora ho lavorato sempre su diari, il che richiede di gestire informazioni simultaneamente. In questo momento però sto anche lavorando a progetti che richiedono la suddivisione in scene, e mi organizzo lo spazio in modo differente. In questo caso, in una stessa visione mi interessa raccontare diversi livelli di lettura: che siano il dato linguistico o scientifico su un elemento naturale, oppure il particolare dettaglio che racconta con relativa freccetta che lo segnala. Quello che mi interessa raccontare, nel diario di viaggio soprattutto, è però la scena, il paesaggio, poi c’è un discorso di mezzo espressivo. Ho sempre portato avanti parallelamente queste due ricerche, quella del fumetto e dell’illustrazione: trovo che il mezzo del fumetto soddisfi il mio aplomb narrativo, il mio bisogno di raccontare, tramite un soffermarsi sui fatti, sulle scene della realtà, l’illustrazione invece sviluppa una parte più contemplativa, mi permette di dare spazio a un vissuto più emotivo, più interiore. Penso che il confine fra i due sia labile e mi piace proprio esplorare questo confine così come mi piace esplorare sia i mezzi del disegno che i mezzi pittorici, mi piace mescolare tutto.

A questo proposito: le tecniche che usi sono molto materiche, il tratto del pastello si vede bene, la pennellata dell’acquerello è invece più dolce ma si percepisce sempre, come se volessi lasciare delle tracce di quello che fai in maniera visibile. Il tutto sembra riportare al tuo rapporto con la terra, che si sente forte, gli stessi colori dalla palette spaziano fra verdi, marroni e toni dell’ocra. In questo lavoro ho trattato i quattro capitoli con quattro toni cromatici diversi perché sono ispirati alle stagioni. Il primo capitolo è ambientato in questo paesaggio invernale della montagna dove sono nata, invernale anche perché è una dimensione intima, familiare, molto stretta: tutto è molto chiuso. Questa dimensione inizia ad aprirsi con i toni verdi della primavera, quando racconto le prime uscite, che però sono abbastanza circoscritte a dove sono nata: le uscite con la famiglia allargata, la prima tenda che prendiamo e con cui andiamo in campeggio in alcune località dell’Italia del nord e quindi la primavera. Poi ci apriamo ai viaggi con il camper, iniziamo ad esplorare l’Europa, i toni diventano estivi, si scaldano. Nell’ultimo capitolo si va verso colori più autunnali: è come se io iniziassi a crescere. Tra l’altro arriva il momento di andare a scuola, non lo racconto nel libro ma io a scuola arrivo in ritardo perché siamo ancora in giro con il camper! Il che spiega molte cose.

E questo rapporto con Dio, cui fai riferimento a un certo punto? I bambini hanno un rapporto privilegiato con qualcosa di più grande, loro lo chiamano Dio ma sono in rapporto con la grande anima, con se stessi. Come dicevo all’inizio, durante il viaggio si trattava appunto di coltivare una certa introspezione: avevo sempre bisogno di un referente con cui parlare e anche qualcuno a cui domandare. Il viaggio ti spinge a farti delle domande, a mettere in discussione invece che avere delle certezze, quindi avevo questa specie di rapporto animistico con ciò che mi circondava, in ogni cosa vedevo Dio e parlavo con le cose. Le visioni che ricevevo erano molto forti e risvegliavano in me quasi un impeto mistico: se da bambino ti trovi di fronte a delle visioni della natura così potenti senti veramente l’assoluto, qualcosa di più grande, lo senti molto fortemente, e non hai quei filtri che magari puoi avere poi da adulto. Ti trovi di fronte a dei paesaggi come il mare del nord, le montagne della Norvegia che si susseguono per giorni e giorni mentre viaggi, un lago in mezzo ai boschi a cui arrivi la sera dopo aver camminato tutto il giorno e in cui ti tuffi: sono visioni che ti stregano. I libri che portavo con me (ero un’appassionatissima lettrice) servivano ad amplificare ancora di più questo tipo di riflessione: germogliavano dentro di me tutti questi personaggi, tutte queste storie, creavano dentro di me un mondo molto ricco.

Dedichi il libro alla tua famiglia e alla meraviglia che ti ha insegnato, meraviglia che crei benissimo attraverso il reportage di immagini e pensieri su pagine di quaderno strappate, scritte con un carattere infantile: sembra che tu sia andata a ripescare pagine del tuo diario, le hai ricreate molto bene. Questa meraviglia oggi come la trovi? Sembra che tu la stia sempre cercando e perseguendo. Assolutamente, la meraviglia continua ad essere la linfa vitale. Come una capriola che sospende l’appiattimento dato dall’abitudine, che capovolge il punto di vista, che rompe quel ritmo della quotidianità e della routine cui siamo abituati e che appiattisce tutte le impressioni, così io cerco sempre di creare una sospensione, spesso tramite il viaggio e l’esplorazione. Il viaggio è un incontro, sia con un paesaggio che con delle persone, persone che mi trasmettono un forte senso di vitalità, di libertà, appunto perché sento il legame che c’è sotto a tutto. Nel momento in cui siamo come addormentati dall’abitudine non ci rendiamo conto dei collegamenti che ci legano, del vero senso che sottende a tutto quanto, ma quando ti apri con il diverso – che sia il paesaggio o la persona – senti che ci sono dei legami che ci tengono fortemente uniti, e trovo che la meraviglia non sia semplicemente lo straordinario che ti sconvolge, bensì trovare questo senso dentro il mondo reale cui tu sei abituato, che vivi ogni giorno, non rendendoti conto del segreto che ha dentro di sé.

Quando è nato il tuo progetto Magirainbici? Dove ti ha portato e dove vorresti ti portasse? Va in parallelo con Nomadisegni, in collaborazione con Rocco Lombardi? Nomadisegni è una raccolta di storie legate al paesaggio, nasce da laboratori e passeggiate disegnate che facciamo insieme a Rocco in giro per l’Italia con le persone che abitano in luoghi dove l’uomo e la natura sono legati tra loro, dove c’è ancora forte questo legame e dove vi è espressione della parte più selvatica dell’uomo. Magirainbici nasce perché da più di 10 anni vado in strada a dipingere in centro a Bologna. Ero partita con l’album sulle ginocchia, e poi piano piano la cosa si è evoluta: prima con un gran cavalletto, poi ho deciso di mettere tutto in sella alla bici, di creare un atelier mobile sulla bicicletta, e ha iniziato a girare un po’ di più grazie alle sue due ruote (in realtà la bici la carico da qualche parte perché è talmente grande il carico di cose…)  e si presta ad essere portato più a spasso. Anche questa è stata una cosa che mi ha trasformato negli anni: andare in strada ti cambia, ti fa uscire dal tuo bozzolo e ti fa vedere in modo diverso. Ti fa incontrare una ad una le persone che che sei abituato a pensare come una grande massa: le incontri una ad una con la loro peculiarità. Incontri persone di ogni tipo, di ogni genere, e ti rendi conto che il tuo senso del giudizio si scioglie piano piano: invece di giudicare le persone inizi a osservarle e impari ad amare le loro particolarità. Spesso le persone che normalmente rifiuteresti, quelle che penseresti in modo più negativo ti danno di più: nel momento in cui le ascolti e ti apri a loro ti trasmettono la cosa più positiva, e questo ti fa rendere conto di come i nostri rapporti siano viziati dalla forma che ha assunto la nostra società, dalla mancanza di spazi di incontro che crea questa diffidenza che abbiamo l’uno verso l’altro. Questo è stato l’insegnamento più grande che mi ha dato la strada finora: il senso di libertà che deriva da proprio dal reale incontro con le altre persone. Alla fine il fatto di dipingere è qualcosa di assolutamente collaterale a quello che succede quando sono lì, è un modo perché le persone vengano stregate da quello che faccio, si avvicinino a me, si aprano, e si crei questo incontro, questa corrispondenza a livello profondo. La cosa importante è che io sia lì. Se manco per un po’ di tempo le persone quando ritorno mi chiedono «ma dove sei stata?!», non tanto perché non vedevano i miei disegni ma perché non vedevano me, che ero lì a portare tutta me stessa in quel posto, ad aprire uno spazio diverso, sospeso, nella quotidianità.

Possiamo dire che hai trovato un modo di rivivere, quello stile di vita che sembra lontano da quello attuale e che rievochi appunto nel fumetto di cui sembra che tu abbia un po’ nostalgia? Forse hai voluto colmare con quello questo vuoto, questa distanza? Credo che in generale ci sia stato un progressivo allontanamento dalla vera sostanza, ma che siamo arrivati a toccare i limiti e che in questo momento ci sia una fase di riacquisizione di questo tipo di coscienza. Credo che tutta la società, progressivamente, con questo tipo di struttura patriarcale, guerrafondaia, che porta a uno sfrenato sviluppo tecnologica, abbia portato a un allontanamento dalla sostanza, dalla connessione con il tutto.Penso che in questo momento siamo al punto in cui abbiamo toccato gli estremi, i limiti, e che tempo fa sia cominciato – e si stia ora sviluppando – un percorso inverso. Nutro senz’altro una fortissima attenzione a quella dimensione in cui si era più connessi; non è del tutto una nostalgia, è più uno sguardo, una ricerca.

Per finire, una riflessione sui laboratori con i bambini, come quello svolto a BilBOlBul 2015: una modalità di incontro che viene anche dal tuo percorso di educatrice ambientale, della fattoria didattica, che hai sempre cercato di portare avanti. Mi piace lavorare con tutti, anche con i grandi. Tramite il percorso di educatrice ho scoperto che con pochi mezzi e stabilendo alcune regole molto semplici si possono creare dei giochi molto belli da fare insieme che non siano semplicemente la chiacchierata, e penso siano modi molto proficui di stare insieme. Anche durante le inaugurazioni tento di creare momenti che attraverso poche regole possano diventare un gioco, in cui ci possa essere anche lo spazio reale per l’espressione degli altri. Quando ci si esprime insieme, si comunica insieme, ci si racconta insieme, si creano corrispondenze fortissime, momenti così potenti e forti che sono un nutrimento, fanno scoprire i lati più belli della condivisione umana, e che ci sono assolutamente preclusi da come è strutturato il nostro modo di stare insieme normalmente. Normalmente andiamo a vedere un film insieme e andiamo a bere una birra insieme, cos’altro facciamo? Una volta ci si incontrava per raccontarsi delle storie – per esempio nelle stalle –, si facevano lavori domestici, si condivideva il lavoro, si cantava, e questi modi di stare insieme erano molto nutrienti per l’essere umano, per il nostro essere umani. Queste modalità adesso non si usano più, e noi non lo sappiamo ma ne sentiamo una grandissima mancanza. Piano piano con questa esperienza ho percepito questa carenza innanzitutto dentro di me, e la vedevo anche nelle persone cui proponevo questo tipo di esperienze. Quindi continuo a proporle, e continuo a trarne un grandissimo nutrimento, sia con i bambini che con i grandi. Anzi, i grandi a dire il vero ne hanno molto più bisogno.

NICOLE BRENA – Intervista realizzata dal vivo il 20 novembre 2015

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magira Marina Girardi